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LA PEDAGOGIA POST GENTILIANA
Educazione e scuola furono due questioni centrali nella ricostruzione dell’Italia repubblicana e democratica.
Si trattava di ridare una nuova identità ad una nazione che aveva affrontato una guerra e che ne era uscita indebolita.
La scuola gentiliana, non era fermamente fascista.
Alla fine delle guerra, l’influenza della cultura neoidealista era evidente in ambito pedagogico. A spiccare erano diversi allievi di Gentile: Mario Casetti a Milano Cattolica, Ernesto Codignola a Firenze, Luigi Volpicelli a Roma e Gino Ferretti a Palermo.
Tra gli studiosi di pedagogia di quella generazione ricordiamo Giovanni Calò e Raffaele Resta come “non gentiliani”.
Dal punto di vista pedagogico, Gentile e i suoi allievi predicavano una pedagogia a base filosofica (la pedagogia come filosofia applicata), alternativa a psicologia, sociologia e metodologia didattica.
Gentile, identificandola con la filosofia, spostò la pedagogia dalle scienze empiriche a quelle speculative (teoretiche), ovvero cambiandola da semplice pratica per trattare con i bambini ad un sapere destinato ad indagare le ragioni dell’educazione.
Il punto più alto della pedagogia neoidealista in ambito scolastico fu raggiunto con la riforma del 1923. La scuola secondaria era concepita come il luogo severo dove si doveva provvedere alla formazione della classe dirigente su una base meritocratica.
La scolarizzazione era quindi riservata ai migliori reclutati attraverso un preciso sistema selettivo.
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